Se non avete mai sentito parlare di “Ginza Reggaeton” possiamo quasi essere ancora amici. Se non avete sentito parlare della versione neomelodica interpretata da Sharon Caroccia, potete anche accomodarvi all’uscita. Ascolto spesso i neomelodici quando sono tristi e il video della cover di questa canzone è tipo uno dei miei feticci visivi in assoluto. Eccolo qui per voi
Siccome quest’anno la Settimana della Critica sforna una cosa più bella dell’altra, non posso fare a meno di parlarvi de “Il Cratere”, il film di Silvia Luzi e Luca Bellino che ha impressionato tutti, compresa la sottoscritta.
La storia è semplice. Siamo nella provincia di Napoli. La vita può essere davvero dura quando hai un numero imprecisato di figli da mantenere senza un lavoro stabile. Rosario questo lo sa molto bene, e assieme alla moglie, tira avanti come venditore di strada girando l’Italia fra una fiera e l’altra. Deciso ad uscire da questo umiliante stato di povertà e desideroso di dare spazio finalmente alle proprie ambizioni, un giorno decide che è giunto il momento di sfruttare il talento musicale di sua figlia Sharon e farne di lei un astro nascente della musica neomelodica partenopea.
“Il Cratere” è a metà fra documentario e fiction e questo lo salva probabilmente dal farne l’ennesimo reperto sul fenomeno/racket del neomelodismo partenopeo (lo sappiamo, abbiamo capito). E’ invece una storia delicatissima e estremamente complessa sul rapporto fra un padre e una figlia che si amano nel profondo ma che faticano a sviscerare i propri sentimenti barricandosi l’uno dietro le proprie velleità artistiche e l’altra dietro al suo desiderio di libertà nel poter compiersi come bambina, molto prima che come “artista”.
L’ottimo lavoro di scrittura – ad opera dei registi (entrambi al loro debutto nel cinema di finzione) col supporto dello stesso Rosario Caroccia, mette in luce con molta delicatezza, l’evidente conflitto familiare. Nella messa in scena, molto ben riuscita è l’insistenza claustrofobica della macchina da presa che mette in luce ambienti e spazi estremamente degradati e privi di apertura verso l’esterno; così come l’indugiare sempre un istante in più sui volti dei protagonisti, con piglio quasi pasoliniano, mettendo in evidenza ogni singola ruga, ogni tremor di labbra, ogni lacrima ricacciata indietro dai protagonisti, mostrando così soprattutto le lotte personali ed interiori.
Rosario e Sharon sono entrambi desiderosi di riscatto e questo è nettamente percepibile nella resistenza che fanno trincerandosi dietro le loro convinzioni, senza voler sentire ragioni. Rosario mira ad una redenzione e vede nella figlia uno strumento per poterla finalmente compiere (“Figlia mia, tu sei una miniera d’oro”), ma nel suo volgersi da padre a impresario, si fa mangiare il cuore dall’avidità e si trasforma in una specie di Zampanò. Sharon è testarda, poco incline al controllo e manda a monte ore di lavoro nello studio di registrazione in segno di protesta, ma quando le minacce del padre diventano moralmente ricattatorie, sente tutto il peso del ‘dovere’ che l’intera famiglia le ha buttato addosso e questo finisce col romperla nel profondo.
Sharon è una preadolescente con un talento immenso che sogna il palcoscenico da sempre, ma non a costo della propria libertà di essere bambina (che si compie anche nei suoi capricci) e nel bisogno di avere accanto una figura di accoglienza come quella della madre, che pure molto la ama ma è purtroppo assente e non prova a difenderla da quello che la bambina vede come un sopruso incomprensibile. Quel “devi essere forte” che la donna sussurra alla bambina poco prima di dormire è di fatto una condanna alla solitudine.
Il disastro emotivo che la circonda e in cui sembra affogare è reale e lei deve dividersi tra quello che è e quello che dovrebbe essere e magistrale in questo senso è la sua interpretazione nell’incipit del film dove, dinanzi allo specchio, vive proprio lo sdoppiamento cui è costretta (e dove è bella, ve lo giuro, davvero bellissima così com’è, molto più di quando si concia da adulta e si mette quegli orecchini così grossi e tamarri).
“Il Cratere” non è un film perfetto, ma è quello che più mi è rimasto nel cuore perché, nonostante il non-professionismo degli attori, tutto è così vero, reale, intimo, interno e viscerale, come il sangue che pulsa e puoi sentirlo e ti fa sentire vivo.
Nota ai margini: il cratere nella realtà è una delle costellazioni più luminose del firmamento ma non risulta visibile ad occhio nudo.
Questa invece è la canzone del film. Buon ascolto.