The Revenant

Nel 1823, in Nord Dakota, l’accampamento di un gruppo di cacciatori di pelli viene attaccato da un gruppo di indiani Arikara. Solo in 12 sopravvivono e sono costretti a fuggire e nascondersi continuamente per fare ritorno al loro villaggio sani e salvi. Uno di loro, Hugh Glass, viene attaccato da una femmina di orso Grizzly, intenta a proteggere i figli e il territorio e…

…Aaaaah, non ho alcuna voglia di farvi un sunto ridicolo della trama di questo film, poichè sono sicura che già la sapete a memoria; compresa la scena dell’orso, sui cui qualcuno ha avuto anche il coraggio di fare ironia (invece di gettarsi in ginocchio e avere i volti rigati di lagrime di giuoia mistica) e dire che “AAHAHAHA, L’ORSA NON LO HA ATTACCATO!!11! L’ORSA SE LO E’ INCULATO!!!11! AHAHAHAHAHAHA!!!!”

Merde, infedeli e senza Dio.

Io e Mr Inarritu ci eravamo lasciati – in buonissimi rapporti – alla conferenza stampa di “Birdman” a Venezia. Lui tentava di rispondere alle domande sul film mentre un Michael Keaton – palesemente sotto l’effetto di sostanze sintetiche – smascellava.

Chiedetemi se gli voglio bene.  La risposta è: si, moltissimo, perché è un pazzo.

Solo a un pazzo verrebbe in mente di affrontare il gelido inverno canadese con tutta la sua troupe, far stare Leonardo di Caprio a mollo nel ghiaccio per circa, beh, QUASI UN ANNO e far raddoppiare il budget del film (da 60 milioni di dollari a inizio riprese, fino ad arrivare a 135) con quella nonchalance tipica di chi si specchia la mattina e sa di dover/poter pagare l’affitto dell’hangar in cui risiede il suo gigantesco ego.

E questo il motivo principale per cui la stragrande maggioranza della critica lo detesta e anche il suo peggior difetto, visibilissimo anche in questo film: la meticolosa e maniacale preparazione millimetrica dei dettagli, i fluidissimi (e vanitosi) long takes che, abbracciano il più possibile in pochi secondi. Poi la drammaticità un po’ forzata (“Non posso morire perchè sono già morto”  “La vendetta è solo nelle mani di Dio”), l’ambizione di voler girare tutto in ordine cronologico,lo spostamento obbligatorio in Argentina nella primavera del 2015 a causa delle rigide condizioni climatiche e il rifiuto categorico e perentorio di affidarsi in qualche modo al CGI.

Vi starete cercamente chiedendo se almeno la scena della valanga è reale.

No. Inarritu ha affittato un elicottero, è andato fin lassù e ha fatto saltare la slavina col tritolo nello stesso momento in cui Di Caprio dava la battuta.

Questo per farvi capire la persona.

Ovviamente non c’è neanche motivo che io vi parli di Lubezki e della sua allucinantemente bella fotografia tutta naturale che regala ogni sfumatura possibile dell’inverno nordamericano.

“…E allora di cosa, di grazia, vorresti parlarci, Valentina?!”

Cercherò di essere obbiettiva e vi dirò “The Revenant” altro non è che una (banale) storia di vendetta – quindi nulla di nuovo sotto al sole – piena di difetti e forse troppo lunga, pretenziosa, dispendiosa, con una forte critica verso il capitalismo becero (salari bassissimi per procurare le pelli con rischi altissimi trasformano le persone in veri e propri mercenari che venderebbero la madre al mercato nero per qualche dollaro in più) e un focus importante sulla questione dell’immigrazione (essere soli e completamente sperduti in un posto sconosciuto e con gente inospitale).

Ma se il cinema è fatto – non solo, ma anche – per immagini, con la ricerca del bello assoluto anche nelle più estreme condizioni di difficoltà; se le rughe di espressione di Leonardo di Caprio parlano più di qualsiasi altra cosa e tu soffri davvero e puoi essere lì e sentire l’odore del fegato animale che lui sta addentando; se Tom Hardy ci regala uno dei villain più STRONZI della storia del cinema (credetemi, è disturbante, ad una certa comincerete ad inveire contro il grande schermo lanciandogli contro i bicchieri di Sprite vuoti trovati sotto al sedile); se la Natura è la vera padrona della vita dell’Uomo e incanta e fa ammutolire e magari vi viene voglia di cambiare  la prenotazione del biglietto aereo delle ferie da Barcellona a, che ne so, un qualche posto sperduto in Alaska, beh, credo che dovreste provare a guardarlo.

Io sono convinta che – quello alla regia – sia uno degli Oscar più meritati di quest’ultima edizione e per me questo film è e rimane un capolavoro.

Ah, per la cronaca: Hugh Glass è esistito veramente. Era un trapper e una guida e divenne famoso per essere sopravvissuto all’attacco del grizzly e all’abbandono dei suoi compagni, che lo credevano in fin di vita. La leggenda vuole che abbia vagato per 320 chilometri, nella neve e nel ghiaccio, fino a Fort Kiowa nel South Dakota, senza viveri nè armi e completamente solo.

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